Il Museo di Mineralogia
Il Museo di Mineralogia dell’Università di Pavia nacque alla fine del XVIII secolo, grazie al lavoro svolto dall’abate Lazzaro Spallanzani che, nominato professore nel 1769, fondò il Museo di Storia naturale raccogliendo quanto era disponibile sia del “regno animale” sia del “regno minerale”. Insieme con Spallanzani operarono all’ordinamento mineralogico anche Paolo Sangiorgio dal 1774 e Antonio Scopoli dal 1778.
Fu solo nel 1782 che iniziò l’opera di separazione e di riordino dei reperti appartenuti ai due diversi regni, lavoro prima affidato a Ermenegildo Pini e successivamente a Giovanni Battista Martinenghi che diede alle stampe il primo catalogo di minerali ordinati con il sistema di Werner.
Dopo la morte di Spallanzani resse le sorti del Museo Giuseppe Mangili il quale rivide la classificazione secondo il testo di Blumenbach. In questo periodo pervennero inoltre minerali donati dall’imperatrice d’Austria e provenienti dalla Germania, dalla Boemia e dalla Siberia.
A Mangili succedette nel 1817 Giovanni Maria Zendrini il quale riordinò e riclassificò la collezione di minerali per la scuola secondo il sistema di Necker.
In seguito, Giuseppe Balsamo Crivelli, suo successore, si interessò soprattutto di incrementare le collezioni di anatomia comparata che, con il passare degli anni, finirono per togliere spazio alle raccolte di mineralogia che vennero trasferite nella sala delle lauree (ora aula Foscolo).
Nel 1875 fu chiamato come professore di Mineralogia Torquato Taramelli, cui si affiancò come assistente Achille Sartorio. Quest’ultimo ebbe l’incarico di portare a termine un riesame di tutto il materiale contenuto nel Museo, avendo cura di scegliere per le collezioni da riorganizzare solo il materiale che per la cristallizzazione particolarmente significativa o per località di provenienza fosse degno di rimanere in un Museo ormai asceso a grande fama in tutta Europa. Tutti i pezzi scelti furono preparati per l’esposizione e divisi secondo la loro dimensione. Fu approntata una collezione riguardante i caratteri fisici dei minerali utilizzando per tale scopo i campioni non corredati di dati di provenienza. In seguito si realizzò la vera e propria riclassificazione sistematica di tutto il materiale conservato.
Dal 1883 il corso di Mineralogia è retto da Francesco Sansoni, che divenuto professore straordinario di tale disciplina, sarà anche Direttore del Museo di Mineralogia che da questo momento sarà separato da quello di Geologia diretto da Taramelli.
Questa separazione è da leggersi in relazione con quanto stava succedendo negli altri Musei italiani ed europei; infatti gli studiosi di Mineralogia si possono considerare fino alla fine della prima metà dell’Ottocento dei naturalisti in senso lato, mentre è solo nella seconda metà del secolo che si vengono ad affermare le specializzazioni fra i diversi argomenti naturalistici. L’insegnamento di Storia naturale si trasforma dapprima nell’insegnamento di Mineralogia e Geologia che successivamente si scinderà ulteriormente nelle due diverse branche.
Con la direzione di Sansoni il Museo conosce un periodo di particolare cura: viene, infatti, spostato nel 1889 dall’ex Aula Magna vecchia in un nuovo locale più ampio appositamente preparato. In questo periodo furono allievi della scuola di Sansoni valenti studiosi quali Ettore Artini e Luigi Brugnatelli. Quest’ultimo succedette a Sansoni dopo la sua prematura morte e chiamò al suo fianco Guglielmo Salomon e Carlo Riva, già allievi di Sansoni.
Dal 1934 il Museo è sistemato nei locali dell’Istituto di Mineralogia costruito in quegli anni nel nuovo centro universitario. Le collezioni sono ristrutturate in modo da comprendere una sezione mineralogica-cristallografica e una sezione petrografica-mineraria. In questo periodo avviene un arresto dello sviluppo del Museo, che si protrae per tutta la durata della Seconda guerra mondiale (periodo in cui il Museo è stato ammassato in una stanza della cantina cui fu murata la porta d’ingresso per evitare la requisizione e il trasferimento in Germania) e per diversi anni dopo la sua fine. Negli anni Sessanta e Settanta inizia il forte aumento della popolazione studentesca per la Facoltà di Scienze e quindi occorre trovare nuovi spazi per laboratori e studi. Il Museo è quindi trasferito dagli ampi locali in cui finalmente aveva trovato posto da decenni in una zona più ristretta, ma ancora sufficientemente decorosa, dove vi rimarrà fino al 1993.
Nel 1963 è incaricato Ugo Zezza di rivedere le collezioni del Museo. Questi si interessa soprattutto delle collezioni petrografiche che sono più vicine ai suoi interessi di studioso. Zezza incrementerà in particolare le collezioni di pietre ornamentali, raccogliendo diverse centinaia di rocce provenienti dalle più disparate località. Continuerà questa sua opera, sia di revisione che di integrazione delle collezioni fino al 1978, anno in cui diviene professore associato di Petrografia.
A partire dagli anni ‘70 Giuseppe Giuseppetti coadiuvato da Carla Tadini, docente di Mineralogia sistematica, intraprese il lavoro che ha portato alla prima schedatura del patrimonio del Museo. Dal 1980 al 1983 il Museo fu affidato alla conservatrice Maria Grazia Domeneghetti e dopo un periodo di vacanza, ad Athos Maria Callegari che inizia la propria attività museale continuando la schedatura dei minerali dal punto in cui l’aveva lasciata Giuseppetti.
Nel 1993, a seguito del trasferimento del Dipartimento di Scienze della Terra presso il nuovo campus universitario al Cravino, il Museo è stato spostato nella nuova sede di via Ferrata.
Dal 2005 il Museo di Mineralogia fa parte del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Pavia ed è diretto sempre da Athos Maria Callegari.
Il Museo è legato al Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente e in particolare all’ex sezione di Mineralogia, Petrografia e Geochimica.
(Callegari-Perotti 2020)