Quando le trebbiatrici arrivarono in Università: il Concorso regionale agrario di Pavia del 1877

Chiunque passeggi lungo il perimetro di Palazzo Centrale dell’Università di Pavia addentrandosi poi nel dedalo di portici e cortili che lo compongono, tra statue e lapidi commemorative, ben difficilmente immaginerà che, pochi anni dopo l’Unificazione, questi spazi ospitarono due concorsi agrari, precisamente nel 1864 e 1877. Quello del ’64, legato al secondo Congresso generale della Società agraria di Lombardia (fondata a Milano nel 1862), fu occasione di un ampio dibattito sull’agricoltura lombarda e nazionale e richiamò agrari da tutto il Regno. Il Concorso del 1877, di cui mi occupo in questa sede, non previde un congresso, fu inaugurato il 15 settembre nell’Aula Magna dell’Ateneo e si concluse il 25 dello stesso mese; il termine “regionale”, che connotava anche il primo, indicava che era esteso a una “regione” geografica individuata ad hoc comprensiva, oltre che della provincia di Pavia, di quelle di Torino, Alessandria, Cuneo e Novara.

All’organizzazione concorsero il Ministero di Agricoltura industria e commercio, la Società agraria di Lombardia e gli enti locali. Il primo designò presidente della commissione ordinatrice, Bernardo Arnaboldi Gazzaniga, possidente, sindaco della città, futuro deputato e poi senatore. Tra i membri di spicco della commissione mi limito a citare in questa sede il professor Santo Garovaglio, titolare del Laboratorio di Botanica crittogamica presso l’Ateneo ticinese e l’avvocato Cesare Forni, presidente del Comizio agrario del circondario di Pavia.

All’epoca, l’agricoltura costituiva la principale attività economica nazionale e tali iniziative avevano lo scopo di promuovere i prodotti agrari e gli ultimi ritrovati della tecnica per contribuire allo sviluppo del settore. I risultati erano però quasi sempre deludenti: gli agricoltori delle province confinanti, scoraggiati dalla distanza della sede concorsuale erano restii a parteciparvi. Il concorso del 1877 non fece eccezione e anzi l’Arnaboldi Gazzaniga lamentò la scasa adesione anche degli agricoltori locali, a suo parere perché gelosi dei propri interessi. Ciò che più importa rilevare è che, a parte gli animali, alloggiati nelle vicinanze del castello, gli attrezzi agricoli e i prodotti (risone, frumento, vini, foraggi, burro, formaggi, seme bachi e bozzoli) iscritti al concorso furono collocati nei locali dell’Università, parte dei macchinari nelle immediate vicinanze. Anche l’esposizione «orticolo-didattico-industriale-artistica» organizzata dalla sopraccitata società agraria fu ospitata nel perimetro universitario e attirò un folto pubblico, probabilmente per il suo carattere molto vario, annoverando molti vitigni e vini, studi sull’agricoltura e piante di ogni genere (comprese le esotiche), presentate soprattutto dall’Orto Botanico dell’Università. La sinergia fra mondo accademico e produttivo, sebbene non sfruttata al meglio, fu dunque proficua e, pensando all’agricoltura provinciale, credo sarebbe auspicabile che oggi riprendesse.

Emmanuele Maria Bianchi