Aula Scarpa o Teatro Anatomico

Nel 1783 Antonio Scarpa (1752-1832) – laureato nel 1770 all’Università di Padova come allievo prediletto del fondatore della moderna anatomia patologica Giovanni Battista Morgagni – viene trasferito da Modena a Pavia, alla cattedra di Anatomia e Istituzioni chirurgiche, dalla Corte di Vienna, per interessamento del proto-chirurgo imperiale Giovanni Alessandro Brambilla.

Nella sua orazione inaugurale del 25 novembre 1783 intitolata “De promovendis anatomicarum administrationum rationibus”, dedicata a Brambilla, l’anatomico espone quelli che saranno i criteri del suo insegnamento, sollecitando anche la costruzione di un nuovo Teatro Anatomico, più luminoso e idoneo alle esigenze della didattica e della ricerca moderna, in sostituzione di quello ligneo del XVI secolo, ancora funzionante ma ormai obsoleto, di Gabriele Cuneo (che dal 1552 al 1574 aveva insegnato anatomia attraverso ostensioni pubbliche).

L’acquisizione nel 1780 di alcuni fabbricati addossati al lato nord dell’Università, in corrispondenza del Portico Medico (posizione quindi particolarmente vantaggiosa per il trasporto dei cadaveri dal vicino Ospedale di San Matteo), consente l’ampliamento del cortile stesso ma anche la possibilità di espandersi del Teatro Anatomico, aula didattica nella quale si eseguivano le ostensioni dei cadaveri di fronte agli studenti, con annessi locali per le sezioni, lo studio e la conservazione dei preparati.

Un primo progetto per un’aula di anatomia era già stato predisposto da Francesco Sartirana (1719 ca.-1790) con la consulenza del docente di Anatomia Giacomo Rezia (1745-1825) che aveva studiato approfonditamente altri teatri anatomici, ma si deve ad Antonio Scarpa – che durante i suoi viaggi aveva avuto occasione di vedere le aule anatomiche di Parigi e Vienna – la realizzazione di un nuovo anfiteatro anatomico (con annessi Istituto e Museo), progettato dall’architetto Leopoldo Pollack.

I lavori dell’aula procedono celermente e il 31 ottobre 1785 il Teatro Anatomico, pur non essendo ancora ultimato, viene inaugurato solennemente da Antonio Scarpa che pronuncia l’orazione latina “In solemni theatri anatomici ticinensis dedicatione”, nella quale elogia sia la Scuola pavese, l’unica a suo dire dotata di mezzi idonei all’insegnamento dell’anatomia, sia l’unicità del luogo promosso con “pubblici auspicii e a pubbliche spese”. L’aula, conclusa nel 1786, presenta una forma semiellittica ad anfiteatro, che rimanda allo schema del Teatro Olimpico di Vicenza; è dotata di due ingressi rigorosamente separati: uno riservato ai professori, dove due corridoi che seguono l’andamento curvo della cavea conducono direttamente allo spazio a essi deputato e al tavolo anatomico dove si eseguono le autopsie, e un secondo per gli studenti che, attraverso due scale, immette allo spazio completamente in legno con cinque ordini di sedili e balaustre a pilastrini.

La pianta semicircolare e l’intera struttura dell’aula adottate da Leopoldo Pollack sono funzionali al nuovo metodo di insegnamento sperimentale di Scarpa che prevede la presenza degli allievi alle operazioni chirurgiche.

Il Teatro pavese presenta anche analogie con l’École de Chirurgie di Parigi, realizzata dall’architetto Jacques Gondoin tra il 1769 e il 1774 e soprattutto con il Josephinum, celebre aula a emiciclo dell’Accademia Chirurgica Militare, istituita a Vienna tra il 1783 e il 1785, da Giuseppe II e da Alessandro Brambilla. Il Josephinum, visitato da Scarpa con Alessandro Volta nel 1784, è il modello proposto da Kaunitz stesso al quale uniformarsi per l’aula pavese, in particolare nel lato rettilineo, a nord, affrescato da raffinati decori e dotato di cinque ampie finestre ad arco che illuminano il tavolo anatomico. L’ambiente, molto luminoso – grazie alla presenza di tre grandi finestre a tutto sesto nel fronte nord, prospiciente su corso Carlo Alberto (già Contrada delle Gabette) e due nell’innesto del lato curvo, ma anche di un lucernario per l’illuminazione zenitale – era dotato in origine di un soffitto a cassettoni progettato dal Pollack, andato perduto, ma riscontrabile nella serie di incisioni del 1793 di Giovanni Pietro Gilardone (conservate presso la Biblioteca Universitaria MIC) che documentano l’originario apparato decorativo pertinente al gusto antiquario di Leopoldo Pollack.

Nel 1818-1819 l’architetto Giuseppe Marchesi(1778-1867) interviene sulla copertura dell’aula, non con un restauro, ma progettando ex novo una volta a ombrello, in cui le vele si allargano in corrispondenza del lato rettilineo nord affrescata da seguaci di Andrea Appiani, con motivi decorativi policromi che rimandano al tema della morte. Nel lasso di tempo dal 1949 al 1952 il rettore Plinio Fraccaro diede inizio ad un’intensa stagione di manutenzione e di restauri del palazzo centrale dell’Ateneo che contemplò, tra i vari interventi, anche il recupero dell’Aula Scarpa, come ricorda la lapide posta nel 1950 al centro della parete curva, a testimonianza delle opere eseguite in tale ambiente.